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19Lug09

E’ inutile, devo ammetterlo: la mia scrivania è un ricettacolo ingestibile di prodotti culturali di vario tipo che vive di vita propria. E devo anche completare questa confessione/arresa dicendo che spesso mi capita di passare del tempo a osservare le forme che riesce ad assumere. Periodicamente tento di illudermi che con un atto di forza e coraggio io possa riuscire in un tempo umano a riordinarla tutta. Ed eccomi qui, pronto all’ennesimo tentativo. Come ogni volta cercherò di estrapolare una breve antologia del presente.

Pochi giorni fa Frédéric Lefebvre, un politico dello stesso partito di Sarkozy, si è beccato una dura reprimenda da re Nicholas per aver suggerito di rimettere al lavoro malati e donne incinte in modo da non farli cadere nella tentazione dell’ozio. Si è parlato di attentato ai diritti dei lavoratori. Ma paragonate ai metodi in vigore nell’industria discografica, le sue proposte non sembrano poi così scandalose.
Già, perché nel meraviglioso mondo della musica sono i cadaveri a tirare la carretta. Da Kurt Kobain a Elliot Smith, da Nick Drake a Ian Curtis, i musicisti morti tornano sempre a riempire gli scaffali dei negozi di dischi. Nella categoria degli stacanovisti dell’oltretomba, Jeff Buckley è senz’altro quello che merita la palma dell’impiegato del decennio. Dopo la sua morte nel 1997, il cantautore prodigio, già spompato quando era in vita dai ritmi del mercato discografico, non ha mai avuto tempo di godere il riposo eterno. Dal mondo delle tenebre sono sbucati ben otto album di Buckley, tra best of, edizioni deluxe e raccolte di inediti. Con l’ultimo Grace: live around the world, Buckley conferma di essere il campione della categoria. Un cd e due dvd che meritano senz’altro elogi (funebri), ma che arrivano dopo un tale sfruttamento del suo cadavere che è impossibile ascoltarli senza sentire una fitta alla bocca dello stomaco.
[Richard Robert – Les Inrockuptibles – su Internazionale n°803]

un decalogo su come guadagnare meglio (rivolto a grafici e visual in genere):
1) tenetevi in forma per gli affari
Tenete sotto controllo clienti e scartoffie, assicuratevi che i pagamenti vengano effettuati tempestivamente e registrate tutte le spese per essere certi che il fisco non di porti via più del dovuto. Chiedete consiglio agli enti che seguono le piccole imprese, cercate di tagliare i costi pianificando le vostre attività in anticipo e cercate di strappare ai vostri fornitori gli accordi più convenienti.
2) investite per fare colpo
Cavalcate le tendenze e investite nel vostro futuro impiegando tattiche di marketing originali, per esempio un opuscolo piccolo ma lussuoso, magliette o stampe in tiratura limitata. Spedite creazioni degne di essere conservate a riviste e blog influenti, clienti consolidati e potenziali e a tutti coloro con i quali vi piacerebbe collaborare.
3) siate adattabili
Se non avete tempo da buttare, è possibile che esitiate a cercare una fonte di reddito temporanea che vi aiuti a pagare le bollette, per timore di trascurare le vostre ambizioni principali. La vostra priorità, tuttavia, deve sempre essere il conseguimento di stabilità e successo a lungo termine, anche qualora questo significhi accettare lavori non troppo entusiasmanti o redditizi nel breve termine.
4) acquisite nuove competenze e rispolverate quelle vecchie
Offrendo un servizio multi-disciplinare avrete modo di intraprendere progetti estesi a più settori creativi senza il timore di sbagliare e senza la necessità di ricorrere ad altri per colmare le vostre lacune. Affinate le capacità già acquisite e apprendetene di nuove. E’ il momento giusto: Adobe e altri stanno contribuendo a ridurre la distanza che separa le varie applicazioni creative.
5) guardate oltreconfine
Non tutti i clienti abitano alla porta accanto. Cercate occasioni fuori dalla zona che conoscete meglio, perlustrando paesi esteri e individuando nuovi potenziali clienti on-line. Lavorando con clienti internazionali potrete affrontare sfide del tutto nuove ed elevare il vostro profilo a livello mondiale.
6) elevate il vostro profilo
L’autopromozione può essere un compito impegnativo ma non costa un gran che se non in termini di tempo ed è un’attività che paga, in termini creativi come in termini finanziari. Investite nei blog, inviate dichiarazioni alla stampa, tenete informati sulle vostre novità i portali di progettazione che più amate, collaborate, esponete le vostre creazioni, partecipate a concorsi e premi e cercate di avere visibilità sulle riviste e sugli annuari che si occupano di progettazione. In poche parole: impegnatevi, partecipate, informate e fate rete.
7) aggiornate il vostro sito
Via il vecchio, avanti il nuovo. Iniziate il nuovo anno mostrandovi pronti a fare nuovi affari. Mettete in evidenza i vostri lavori più nuovi e interessanti, togliete di mezzo quelli più invecchiati e assicuratevi di mettere in luce nella vostra homepage tutte le vostre professionalità, dall’illustrazione alla grafica in movimento.
8) a caccia di sponsor
Promuovere la vostra carriera attraverso mostre o collaborazioni con altri può essere costoso, perciò cercate degli sponsor disposti ad aiutarvi a finanziare le vosre sortite creative fuori dallo studio. Alle grandi aziende piace ancora essere associate con i nuovi talenti emergenti e innovativi e vari enti possono aiutarvi a trovare finanziamenti.
9) in vendita
Tutto ciò che create può potenzialmente fornirvi un guadagno. Molte creazioni possono servire al di là del loro impiego immediato: poster, stampe, spille, magliette e perfino immagini di repertorio. Prendete in considerazione l’ipotesi di creare un negozio (o di trovarne uno esistente che si presti ad aiutarvi) per generare introiti extra. Optando per il fai-da-te potrete risparmiare sui costi stampando su ordinazione.
10) pensate positivo
Cercate il lato positivo di ogni cosa. Se è vero che solo i forti sopravvivono, allora duro lavoro e dedizione faranno la vostra fortuna. La prosperità economica e quella creativa sono anzitutto nelle vostre mani, perciò guardatevi allo specchio prima di dare la colpa agli altri e lavorate per costruire il vostro successo.
[Computer Arts – Luglio 2009]

“Le società intermedie sono le associazioni e le organizzazioni in cui l’individuo entra e di cui fa parte con gradi diversi di intensità, come i sindacati ma anche molti tipi di associazioni; mentre il termine istituzione, sociologicamente parlando, è un pò più forte e robusto perché si riferisce a qualche tipo di sistema sociale in cui si integrano dei valori, delle credenze, delle regole di comportamento, delle regole normative, oltre che delle motivazioni personali. Anche le istituzioni, come le società intermedie, stanno tra l’individuo e gli strati alti del potere e le autorità massime della società.
A tal proposito è in atto già da alcuni anni e tuttora in corso un processo politicamente preoccupante di erosione sia delle istituzioni che delle società intermedie. Ad esempio, i consumi di massa sfrenati e largamente superflui necessitano di una sorta di rapporto diretto con qualche modello, con qualche entità singola come ad esempio le star o altre figure pubbliche riconoscibili che saltano sia le istituzioni che le associazioni intermedie. Anche da un punto di vista produttivo e politico, per avere tanto produttori che consumatori non troppo irrequieti, più o meno adagiati nella loro condizione sociale e umana, è necessario avere un rapporto diretto tra l’individuo e qualche tipo di capo, di figura carismatica o di personaggio dominante. Gli autoritarismi e le dittature del secolo scorso hanno giocato esattamente su questo: uno dei primi interventi che sono stati fatti tanto in Italia quanto in Germania, ad esempio, quando i dittatori hanno preso il potere è stato quello di eliminare il più possibile istituzioni sociali intermedie affinché si configurasse il rapporto diretto tra l’individuo e il suo capo. In Germania, per ricordare che il 30 gennaio 2008 è stato il 75° anniversario della presa del potere da parte dei nazisti di Hitler, i primissimi interventi dei primi anni del potere consistettero nella demolizione della maggior parte delle istituzioni giuridiche, politiche, economiche che si frapponevano tra il capo e il singolo, che non aveva più nessun tipo di legame (non parliamo nè di famiglia nè di realtà locali), ma doveva obbedienza al Führer, al capo. In forme più miti, edulcorate e non così drammatiche, questo si ritrova anche in altri contesti. Nel contesto tedesco c’era una componente politica, militare e di razza, ma una formula abbastanza simile viene utilizzata per assicurare produzione e consumi di massa: il consumo di radio e televisione protratto per ventiquattro ore al giorno è un elemento importante del rapporto che fa saltare le società intermedie e le istituzioni. Il rapporto diretto con la fiction, l’intrattenimento o la telenovela è il passo, il segmento di un processo che collega il singolo individuo a autorità più o meno impersonali e talvolta impersonate che intrattengono il grande circo dei consumi e della produzione in tutto il mondo.
E questo è il peggior regalo che l’occidente abbia fatto al resto del mondo: incanalare, cioè, miliardi di persone sugli stessi modelli di vita e di consumo che noi abbiamo inventato e che fino a un certo momento erano fattori di sviluppo e di miglioramento della qualità della vita, ma che al di là sono diventate forme di infantilizzazione e anche di asservimento politico.”
[tratto dall’intervista a Luciano GallinoComunicazione punto doc N°1 – Lupetti editore]

“Non ho mai avvertito la necessità di comunicare al mondo qualcosa. Solo dopo essere stato in Europa e negli Stati Uniti ho capito che il popolo giapponese vive in un sistema che isola le persone. Se non fai parte di un’impresa non sei nessuno. Quando sono tornato a Tokyo ho pensato che le persone sono come uova che si rompono contro un muro invincibile: il sistema”.
[Haruki Murakami – tratto dall’intervista su Il Venerdì N°1099 – 10 aprile 2009]

Da sempre compaiono parole che significano tutto e il contrario di tutto. Sono di moda. Tutti le usano. Il loro successo sta nella loro stessa ambiguità. “Mash-up”, per l’appunto, vuole dire “poltiglia”. Di origine musicale, forse giamaicana, la parola denota la pratica di campionare da brani differenti le linee del basso, degli alti o gli effetti sonori, per poi miscelarli in qualcosa che suoni in modo totalmente nuovo. L’hip hop fin dai primordi è una pratica mash-up. Oggi con questo termine si intendono anche applicazioni informatiche che traggono dati da più fonti poi accorpate in un tutto unitario. Non solo grazie a feed come Rss, ma anche ad applicazioni quali Google Mashup Editor. Non si tratta solo di una pratica tecnologica, ma anche e soprattutto sociale, a cui con sempre maggior interesse guardano anche i produttori di contenuti multimediali. Di rilievo pertanto, l’uscita di Link7, rivista di riflessione teorica di Mediaset, tutta dedicata alla questione del mash-up nella programmazione televisiva: da Blob al riutilizzo dei prodotti e delle immagini d’archivio, al loro uso selettivo su YouTube, tra repliche e remake di grandi classici. Una lettura importante, soprattutto se temperata con il saggio di Henry Jenkins, “Cultura Convergente” (Apogeo, 2008) che allarga lo scenario alle comunità online di fan, che si organizzano creativamente attorno a prodotti quali Matrix, Harry Potter, Star Wars, Lost, in una continua contaminazione di ruoli e significati.
[recensione tratta da WIRED – N°3 – maggio 2009]

Da pochi giorni mi trovo in Senegal. Il sole è una meraviglia e un forte vento dall’oceano tempera il caldo. […] Tutti i rappresentanti delle istituzioni, gli opinionisti, gli intellettuali e gli scrittori fanno a gara a chi denuncia con più crudezza i responsabili accertati dell’epidemia di Aids in Africa… vale a dire gli omosessuali e le lesbiche. Una ong, che si chiama Jamra, capitanata dall’imam Massamba Diop, ha denunciato la presenza, alla 15^ conferenza sull’Aids, che si è tenuta in città nel dicembre scorso, “di lobbies omosessuali che si sono attivate per fare proselitismo malsano per un ennesimo tentativo di promuovere pratiche contro natura, le quali nemmeno gli animali, i più ripugnanti, oserebbero fare”. […] Gli imam sono alla testa delle proteste contro l’aumento delle bollette dell’elettricità e contro la corruzione dei politici. Spesso, insomma, sono i protagonisti delle rivendicazioni più avanzate (denunciare le ingiustizie in Senegal può essere estremamente pericoloso…). Ma allo stesso tempo sono portatori di mentalità arcaiche, violente e strapiene di pregiudizi ignoranti e vergognosi: alcuni di loro hanno innescato un’aspra protesta per impedire che un gay dichiarato fosse seppellito con rito musulmano al cimitero. Certo, un coro di intellettuali, dalle pagine di Wal Fadjri, il quotidiano più accreditato del Senegal, si è levato contro i dignitari religiosi. Ma non facciamoci troppe illusioni. Lo scrittore Moumar Gueye, nell’argomentare, ha finito comunque per raccontare una storiella omofobica: “Da piccolo mia madre mi ripeteva: hai osservato le capre? hanno tutti i giorni il buco all’aria, ma non vedrai mai un montone montarne il culo”.
[Maurizio Polenghi – Diario – aprile 2009]

“Ma perché bisognerebbe cooperare? Gli studi sulla cooperazione hanno messo in luce che ogni qualvolta i soggetti in competizione (stakeholder con interessi differenti) hanno la possibilità di cooperare il risultato della cooperazione avvantaggia entrambi. La Game Theory ha provato a fornire le spiegazioni di tale comportamento e ha dimostrato che anche in un contesto altamente competitivo come quello del “dilemma del prigioniero”, la cooperazione basata sulla reciprocità sia sempre la strategia vincente. Questa strategia, denominata tit for tat, presuppone infatti di iniziare a cooperare e poi di replicare il comportamento del proprio partner, massimizzando il risultato della cooperazione.
Mentre nella Game Theory la cooperazione è una scelta “economica” intesa a massimizzare un risultato individuale, l’economia del dono, variamente intesa, presuppone la cooperazione solidale subordinata a un insieme di obblighi sociali e fattori non economici di cui si fa garante la comunità che dalla cooperazione si arricchisce. Al dono non è tanto associata un’idea di gratuità ma quella di un diverso modello di scambio, basato sulla reciprocità. La reciprocità è l’anello di congiunzione fra la cooperazione competitiva e la cooperazione elargitiva.
La reciprocità nel dono comporta una triplice obbligazione: dare, ricevere, restituire. Il dono presuppone una restituzione, quindi esiste una convenienza non immediata, nel donare. Esiste una obbligazione al dono quanto un interesse a donare.”
[Arturo Di Corinto – in “Parole di una nuova politica” – transform!Italia]

In una società della comunicazione i temi sensibili non possono che essere inquinati di troppe parole, di ragionamenti fuorvianti, di opinionismo dilagante, di espertismo da salotto televisivo. Quasi sempre la prima operazione da fare è liberarsi delle cornici nelle quali il tema è posizionato, evitare il ricatto dello schieramento fra punti di vista già confezionati, mettere in crisi tutto ciò che è dato come vero, interrogarsi sistematicamente su quale rapporto diretto col tema ha chi parla, confrontare il racconto con il proprio vissuto. Dopo questa azione ecologica, resta ben poco, emerge altro. Prendiamo gli adolescenti, meglio la loro rappresentazione in tre grosse casse di risonanza, coglieremo il rumore.
In questo momento in Italia ci sono continue serate di genitori, organizzate da loro associazioni, scuole o altri, che si interrogano sui figli. E’ un fenomeno endemico, molto diffuso e molto partecipato, singolare perché sono genitori (molto spesso madri) che rinunciano a stare a casa con i figli pur di seguire l’incontro con l’esperto, titolo che è capitato anche a me. Il paniere di domande che stanno attraversando le famiglie italiane con adolescenti è più o meno lo stesso: chi sono, cosa sono diventati, che possiamo fare. E’ una domanda onesta, molto sentita, il disorientamento è evidente, in alcuni casi drammatico. Il problema è che a seguire l’ordine del discorso si finisce per stigmatizzare, elencare ciò che i ragazzi non sono più o non fanno più, smarcare la propria adolescenza dai facili tempi attuali. E invece il nodo sono gli adulti, il ragionamento rimbalza su di loro, sulla loro crisi di magistralità, sulla loro debole esemplarità, sulla loro stessa fatica a reggere la corruzione (morale, nei consumi, nelle scelte di ogni giorno) di questi tempi, sulla loro indisponibilità a transitare dalla fatica del ruolo adulto, attratti come lo siamo tutti, adolescenti compresi, dalla soluzione immediata.  (…)
[di Stefano Laffi – tratto dalla rivista Lo Straniero – N°104 – febbraio 2009]



1 Responses to “MY DESKTOP (5)”

  1. bello….


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